La Romagna, così come tutte le terre di antica memoria, cela misteri e leggende, a volte curiose, a volte inquietanti. Spinta da quella particolare forma di curiosità che non può essere appagata da un libro né tanto meno da una guida turistica, mi sono mossa alla scoperta della Romagna più segreta, quella nascosta dietro secoli di storia.
La prima tappa del mio tour, in una brillante mattina di luglio è Santarcangelo di Romagna, a 10 km da Rimini.
Come spesso accade il mistero si cela nei normali paesi di campagna, tra mura e dietro siepi che nulla hanno di strano.
Dove gli anziani del paese ancora trascorrono le mattine chiacchierando in piazza all’ombra di una statua e gli artigiani intrecciano i fili del loro antico mestiere….
… mentre tra i vicoli sul monte Giove un cane aspetta sonnacchioso il suo padrone e le campane della Colleggiata battono le ore…
… sotto terra mi aspetta un vero e proprio viaggio nel passato. In che epoca mi porterà la macchina del tempo non lo so ancora.
Si perché le Grotte Tufacee, 6 km di cunicoli scavati nel monte Giove, la guida dello IAT te le fa in parte visitare illustrando con grazia quello che sa, ma il punto è che si sa davvero molto poco. Quel che è certo è che non sono grotte ma ipogei in quanto scavate dall’uomo e che non sono di tufo ma di arenaria testimoniando che il mare una volta arrivava fin quassù. Si tratterebbe di costruzioni molto antiche, di cui non si conosce l’epoca né il motivo. Forse antichi luoghi di culto, di certo furono usate per conservare il sangiovese, vino tipico della zona che prende il nome proprio dal monte Giove. Ma è ovvio che km di cunicoli a diversi livelli di profondità collegati da scalette e con prese d’aria per respirare, dovevano avere in origine uno scopo più importante.
Entrando gli occhi sono colpiti dall’oscurità e la pelle dal freddo pungente ( in grotta la t° è di 34°C e il tasso di umidità 90%). Ad un certo punto si arriva nel cuore del mistero, una stanzetta con 7 nicchie, su cui sono state formulate 3 ipotesi, ciascuna verosimile, nessuna verificabile: forse destinata al culto del dio Mitra (nella chiesa di San Pisignano a Cervia l’acquasantiera reca un’ara sacra raffigurante il dio Mitra e Santarcangelo aveva stretti rapporti con Cervia per via del sale, come testimonia la porta cervese), forse una chiesa bizantina (verosimile dati i rapporti con la città di Ravenna) o forse una stazione sulla via micaelica che collegava Mont san Michelle a Gerusalemme passando per tutte le città devote a San Michele, come Santarcangelo.
La verità forse non la sapremo mai, quel che è certo è che le grotte tufacee costituiscono una vera e propria città sotterranea e a mio avviso costituiscono un patrimonio storico e culturale enorme (non molto tutelato, ahimè).
Oggi sono solo in piccola parte visitabili con una guida al prezzo modico di 3 € con partenza dall’ufficio IAT di Santarcangelo (via C. Battisti, 5 Tel. 0541 624270).
Girando per il paese si sentono gli echi di un altro passato, più recente ma non meno affascinante. Sono quelli del poeta dialettale Nino Pedretti, di Tonino Guerra, di Raffaello Baldini, che nel secondo dopoguerra formarono un insolito circolo intellettuale, “E’ Circal de giudéizi” (Il Circolo del giudizio). Parlavano di temi culturali ed artistici politici e sociali, organizzavano proiezioni cinematografice, ascoltavano jazz, si ispiravano. Quest’amicizia lascia a Santarcangelo un clima culturale ricco, che si esprime nelle produzioni letterarie così come nelle esperienze artistiche più disparate, tra cui il Festival Internazionale del Teatro in piazza.
La seconda tappa del mio tour mi porta a San Leo, dove vengo accolta così, da una piazza assolata dove un’artista locale prepara le sue rose di stoffa.
Ci si arriva in poco meno di mezz’ora da Santarcangelo, ma per farlo occorre risalire la valla del fiume Marecchia e con essa la storia….
Da questa piazza deliziosamente sommersa dal sole alzando per un istante gli occhi al cielo, si scorge la fortezza di San Leo, a cui si arriva con una navetta o a piedi. Come si vede la salita è abbastanza ripida
Da quassù comunque il panorama è splendido e vale la pena di sudare un po’. Se non avete voglia di sudare o se visitate la fortezza alle 13 come ho fatto io (è aperta con orario continuato tutti i giorni) sappiate che esiste una navetta.
Il castello è molto grande e quasi interamente visitabile: le piazze d’armi, gli appartamenti signorili, i camminamenti di ronda…
Ma il mistero è nuovamente sotto terra. Precisamente nelle segrete del castello, dove si trovano le celle di prigionia, piccoli loculi dove venivano rinchiusi malcapitati prigionieri dal medioevo in poi. Tra i più disparati strumenti di tortura e le catene di prigionia, sembra ancora di udire le urla dei rinchiusi e di vedere scorrere il sangue di coloro che venivano ferocemente torturati dalla Santa Inquisizione per poi confessare in fretta i crimini più diversi, che fossero stati o meno commessi poco importava in fondo.
In una di queste celle scontò la sua pena anche Alssandro Balsamo conte di Cogliostro, il famoso alchimista che dopo aver ingannato le corti di mezz’Europa millantando guarigioni miracolose e guadagni facili, era stato accusato di eresia e condannato prima alla morte poi al carcere a vita da scontare nelle carceri di San Leo.
Cagliostro era considerato un personaggio pericoloso, in grado di ipnotizzare con lo sguardo i suoi interlocutori, perciò nel dubbio che possedesse davvero i poteri magici di cui si vantava, venne rinchiuso in una cella a cui si accedeva esclusivamente da una botola sul soffitto denominata “il pozzetto”. I soldati così potevano sorvegliarlo e calargli il cibo dall’alto, ben attenti a non guardarlo mai negli occhi. Cagliostro morì in questa cella, pare dilaniato dalla pazzia, nel 1795.
Se di streghe arse vive la storia del Medioevo è tristemente piena, di altre piccole e presunte streghe si parla anche in un altro castello, a pochi km da qui, il Castello di Montebello.
La leggenda vuole che quassù, in quello che in origine era un fortino militare romano e poi oggetto di contesa tra Malatesta e Montefeltro, vivesse una bambina albina che oggi chiamiamo Azzurrina ma che in realtà si chiamava Guendalina. Il suo albinismo era un problema perchè nel Medioevo era considerato un segno di stregoneria. Non sorprende che la mamma provasse in ogni modo a tingerle i capelli, ottenendo però solo la sfumatura azzurrognola che le ha dato il nomignolo di Azzurrina.
Nonostante i due soldati preposti a sorvegliarla notte e dì, Azzurrina il 21 giugno 1375 scomparve correndo dietro alla sua palla di stracci nella ghiacciaia del castello e il suo corpo non fu mai trovato. Ogni 5 anni il suo fantasma torna a farsi sentire tra le mura del castello e se avete modo di visitarlo vi verranno fatte ascoltare queste registrazioni. Sicuramente è una leggenda ma vi assicuro che ascoltare queste voci fa venire i brividi…
A questo punto, una precisazione: vengono organizzate due tipi di visite, una diurna e una notturna (solo d’estate). La visita diurna verte soprattutto sugli aspetti storici e culturali del castello, con una piccola digressione finale sul fantasma della piccola, la notturna invece si concentra quasi esclusivamente sugli aspetti paranormali ed è perciò controindicata per i bambini e chi si impressiona facilmente (per info: http://www.castellodimontebello.com/)